Holly George-Warren – Alex Chilton. Un uomo chiamato distruzione – recensione
by Diego Curcio *
Aspettavo questo libro – pubblicato da Jimenez – da parecchi anni. Almeno da quando Giulio mi ha convinto a comprare il mio primo disco dei Big Star, “Radio City”, dopo che gli avevo confidato di aver appena scoperto il magico mondo del power-pop. “Se ti piacciono quelle band devi assolutamente ascoltare i Big Star – mi aveva detto con una certa solennità mentre spulciavamo i dischi da Fnac – Loro sono i capostipiti del genere”. Aveva dannatamente ragione. E “Radio City” resta uno degli album pre punk più belli della mia collezione.
Alex Chilton, però, come ci racconta questa splendida e approfondita biografia, è stato molto più che un semplice precursore del power-pop. Anche perché i Big Star rappresentano solo una fase della sua immensa storia musicale. Gli inizi, ancora adolescente, con i Box Tops e il successo incredibile – direi quasi planetario – di quella teen band, le delusioni verso il music business, la lenta discesa all’inferno (con l’inspiegabile flop dei Big Star e i problemi con alcol e droghe), le storie d’amore laceranti, la carriera solista che non decolla e che lo porta ad accettare lavori umili e concerti per pochi spiccioli, la fiducia ritrovata, il punk che lo riabilita e una nuova dimensione da padre nobile dell rock alternativo. Sono queste alcune delle tappe cruciali della vita incredibile e convulsa di Alex Chilton, morto ad appena 59 anni nel 2010. Holly George-Warren, che lo aveva conosciuto nei primi anni Ottanta (e aveva battezzato la loro amicizia vomitandogli nel lavandino di casa) racconta questa storia incredibile e molto americana con una dovizia di particolari che ha del miracoloso.
La vita di Chilton, in queste 400 e rotte pagine, viene passata al setaccio sin dal suo albero genealogico. George-Warren si sofferma anche su alcuni episodi molto personali come la tragica e prematura morte del fratello più grande e l’eccentrica vita della sua famiglia. Qualcuno, ora non mi ricordo più chi, pur avendo amato questo libro, ha criticato lo stile di scrittura dell’autrice, definendolo un po’ troppo didascalico. Non sono d’accordo. A mio modestissimo parere questa biografia è scritta molto bene, anche dal punto di vista stilistico. Certo, non è un romanzo e a volte le citazioni hanno la meglio sulla vivacità della scrittura. Ma pur avendo impiegato parecchio tempo a finirlo, ho trovato Un uomo chiamato distruzione decisamente ben fatto. La parte più interessante del libro – ma forse il mio è un giudizio di parte – è la seconda e cioè quella che parte con lo scioglimento dei Big Star (anche se è stato bellissimo leggere la genesi di album incredibili come “#1 Record” e “Radio City”).
Tra la fine degli anni Settanta e gli anni Novanta Alex Chilton ha vissuto letteralmente sulle montagne russa, ma ha anche fatto la vita che probabilmente ha sempre desiderato. Ha suonato ciò che amava per pochi fedelissimi spettatori e si è riscattato grazie all’ammirazione di band sulla cresta dell’onda che erano cresciute con i suoi dischi (soprattutto con quelli dei Big Star). Parlo di gente come Replacements e Rem, tanto per chiarire. E ha pubblicato alcuni ottimi dischi che sono stati dei meravigliosi insuccessi commerciali (l’ep per la Ork Records in pieno fermento punk e l’apparentemente sconclusionato ma secondo me superbo lp “Like flies on sherbert”).
Uno dei libri dell’anno. Procuratevelo al più presto.
Articolo originale alla pagina HuskerCore