Non sono mai stato skinhead, per il semplice fatto che sin da ragazzino – cioè da quando ho cominciato a bazzicare la scena underground genovese e ad ascoltare musica punk – mi è sempre sembrata una sottocultura troppo vicina all’idea di “branco” (nel senso più nobile del termine).
Quando guardavo gli skin, compresi molti miei amici, vedevo – e vedo ancora adesso – un gruppo coeso di persone con gli stessi gusti e gli stessi valori: gente con molte affinità, che riesce a stare insieme non solo ai concerti, ma anche al pub, alla partita o il sabato pomeriggio a cazzeggiare in giro per la città.
Io, invece, la logica del branco l’ho sempre rifiutata. Forse perché, fondamentalmente, resto un tipo solitario, un cane sciolto e soprattutto un inguaribile bastian contrario, che appena capisce di trovarsi in sintonia con qualcuno inizia ad agitarsi e a cercare, a tutti i costi, un modo qualunque per distinguersi. Che ci volete fare, è più forte di me.
Per tutte queste ragioni – ma anche per molte altre – mi sono accostato con curiosità e un pizzico di distacco alla lettura di “Spirit of ’69“, la Bibbia skinhead, come viene comunemente definito lo storico libro di George Marshall, pubblicato per la prima volta in Italia da Hellnation, con la traduzione di Flavio Frezza.
Chiarisco subito che quello di cui mi accingo a parlare è un testo fondamentale per capire fino in fondo questa sottocultura ed è pazzesco che, fino a poche settimane fa, non fosse mai uscita una sua traduzione italiana (quindi un grande plauso va a Roberto di Hellnation e a Flavio che hanno coperto quest’enorme lacuna).
skinheads anni 70
Detto questo, leggere da “non-skinhead” – ma comunque da simpatizzante – la Bibbia di Marshall è senza dubbio un’esperienza interessante e stimolante, per vari motivi. Prima di tutto perché consente di capire, in modo semplice e chiaro, le evoluzioni storiche di questa sottocultura, visto che Marshall ha deciso di impostare il suo racconto in forma cronologica, partendo dai primi vagiti della seconda metà degli anni Sessanta e arrivando sino ai primi Novanta (quando il libro è uscito ed è stato poi aggiornato, 1991 e 1994).
E poi si tratta di un volume scritto senza alcun ammiccamento nei confronti del lettore. E questo contribuisce a mettere in moto il pensiero critico di chi sta dall’altra parte della pagina.
Un altro aspetto interessante di questo volume è il titolo, che mette già in chiaro quale sia la chiave di lettura utilizzata da Marshall per descrivere questa sottocultura: l’autore applica un giudizio qualitativo (e non quantitativo) all’analisi del movimento skinhead, visto che uno dei fili conduttori del volume è la “nostalgia” per gli esordi di fine anni Sessanta (lo spirito del 1969, appunto), rispetto alla seconda fase legata al punk-oi!, che però coincide anche con la sua massima diffusione (anche fuori dai confini inglesi).
skinheads anni 80
Naturalmente – visto anche il periodo in cui è stato scritto il libro e cioè i primi ’90 – a tenere banco, in molti casi, è la classica diatriba skinhead-politica e Marshall si dilunga spesso sul tentativo dell’estrema destra di inglobare frange più o meno consistenti di questa sottocultura.
Una questione (anzi La Questione, a mio avviso) rispetto alla quale non sempre mi trovo d’accordo con l’autore; soprattutto non condivido il suo atteggiamento di fondo, visto che, in alcuni passi, sembra quasi mettere sullo stesso piano gli skin di sinistra e quelli legati al Fronte Nazionale, in nome della stella polare dell’apoliticità. Come dire: “rossi e neri sono tutti uguali”, visto che – provo a interpretare il pensiero del vecchio George – il vero cancro della sottocultura è proprio la politica, indipendentemente dallo “schieramento” che si sceglie.
Certo, si tratta di una posizione legittima, anche perché un conto sono i vestiti che porti e la musica che ascolti, un altro è cosa voti nella cabina elettorale. Io però ho sempre pensato che il personale sia politico (e qui forse Marshall mi avrebbe dato dello sporco hippie) e molto banalmente credo ci sia ancora una grossa differenza tra stare dalla parte di razzisti e fascisti e schierarsi con antirazzisti e antifascisti (o più semplicemente definirsi di sinistra).
Oggi chi si dichiara apolitico, spesso, è semplicemente di destra e fatica ad ammetterlo. Mentre 30 anni fa, quando Marshall ha scritto la sua Bibbia, c’erano in ballo altre cose e alcuni skinehad che si professavano apolitici provavano, in quel modo, a marcare una differenza nei confronti di chi era di estrema destra e quindi “politico”.
skinheads anni 00
In più non possiamo non sottovalutare il diverso retroterra ideologico che si porta dietro chi abbraccia una qualsiasi sottocultura in l’Italia, rispetto a chi fa la stessa scelta in un Paese anglosassone, dove l’approccio è sempre stato meno politico (basta ensare a cosa accadeva qui da noi negli anni Settanta e confrontarlo con ciò che avveniva in Inghilterra nello stesso periodo.
Vi dicono niente le Brigate Rosse, il terrorismo nero, le trame di Stato ecc?). Insomma il solito casino, quando si parla di sottocultura skinhead e politica (a tal proposito, molte risposte interessanti e condivisibili, si trovano nel libro di Flavio Frezza “Italia skins”).
Il libro, comunque, non parla solo di questi argomenti scottanti e delicati. Ma dedica molte pagine anche all’abbigliamento (forse quelle che ho trovato più noiose) e alla musica (le mie preferite). Si parla di raggae, ska, punk e oi!, della storia di alcune band cardine e soprattutto si leggono testimonianze di prima mano, visto che Marshall ha vissuto direttamente e sulla propria pelle la seconda ondata skinhead inglese, quella esplosa insieme al punk.
skinheads’ record
Spirit of ’69 racconta di concerti memorabili a cui l’autore ha partecipato e descrive le band con le quali l’autore è entrato in contatto direttamente. E anche se oggi l’ossatura – ma non il succo – di queste informazioni è patrimonio di tutti grazie a Internet, trent’anni fa, quando è uscita la prima edizione del libro, era difficile mettere in ordine tutto quel materiale infiammabile.In definitiva credo che ogni skinhead che si rispetti non possa fare a meno di leggere questo libro (tra l’altro ben scritto, tradotto ottimamente e corredato da una fitta serie di note). Ma visto che do per scontato che qualsiasi testa resta abbia già messo le mani su questo volume (chi non l’ha fatto provveda subito), consiglio la lettura della Bibbia di Marshall soprattutto a chi, come me, non ha mai abbracciato questa sottocultura.
Conoscere, anche con un occhio esterno, la nascita e l’evoluzione di un movimento sociale e culturale di tale portata è fondamentale e obbligatorio, non solo per chi non ama il mainstream, ma anche per chi vuole ampliare i propri orizzonti e ha ancora voglia di imparare qualcosa.