Recensione Mantero – Don Chisciotte – 2014
by Roberto Giannini
Pubblicato all’inizio di questo 2014, il terzo album del cantautore genovese Andrea Mantero possiede tutte le caratteristiche per far discutere di se: infatti, fin dal titolo (Don Chisciotte) e dalle note di presentazione, si ha la sensazione che quello che ci si appresta ad ascoltare ed analizzare non sarà alcunchè di banale, ma un prodotto studiato a fondo, curato, omogeneo, diverso dai canoni autoriali ai quali siamo abituati da un po’ di tempo a questa parte. E, in effetti, già dai primi suoni, questa impressione viene suffragata. Don Chisciotte si presenta quale concept album, termine che sappiamo molto spesso accostato a lavori di stampo progressive, caratterizzati da suite o comunque impostazioni strutturali cervellotiche e complesse. In questo caso niente di tutto ciò: il termine concept è riferito sia al tema di fondo dell’album, che al filo conduttore intorno al quale questo tema gira, vale a dire la grande opera letteraria capolavoro di Miguel de Cervantes, vissuto e attivo a cavallo tra il ‘500 e il ‘600. L’adolescenza, è il tema sul quale Mantero si sofferma, la fase delicata della vita durante la quale si perde (o perlomeno si modifica la prospettiva) gradualmente la certezza di alcuni ideali che in fase fanciullesca risultano puri e incontaminati, e si scivola verso un’età adulta che molto spesso non viene completamente vissuta da tale. Don Chisciotte, citando l’autore, è un “viaggio nel tempo laddove l’adulto e il ragazzo si incrociano per analizzare rispettivamente, il proprio passato e il proprio futuro parlando lingue diverse ed essendo, a tutti i livelli, persone diverse pur portando lo stesso nome”. Un opera comunque “difficile”, che merita attenti ascolti, nella quale riferimenti e citazioni sono in alcuni passaggi palesi, in altri ben celati, quasi subliminali, all’interno di versi a tratti molto ricercati (il paragone col Battiato della fase centrale della sua carriera non è azzardato). I tredici brani (tutti composti dall’autore tranne la rielaborazione della Wishlist di vedderiana memoria, Acqua di aprile del cantautore spagnolo Luis Pastor e Il risveglio composta dal chitarrista Andrea La Bruna) sono intramezzati da frammenti del film omonimo di Maurizio Scaparro del 1984.
Dal punto di vista prettamente musicale emerge fin dai primi ascolti un impressionante lavoro di arrangiamento (effettuato quasi esclusivamente dal fratello Mario Mantero, tastierista innamorato tanto del miglior prog quanto dai suoni di Canterbury) per cui non aspettatevi un disco strimpellato: infatti si possono apprezzare, immergendosi nell’ascolto, ottime melodie vocali (a partire dall’iniziale Dimmi, cosa inventi?), passaggi acustici di primo piano (ascoltare a proposito Il risveglio, introduzione al brano che dà il titolo all’album nel quale si evidenzia l’eccellente chitarra elettrica di influenza pinkfloydiana, suonata da Andrea La Bruna), tracce (ad esempio l’ottima Ronzinante) nelle quali l’essenziale ma efficace sezione ritmica (con il basso di Stefano Olivieri e la batteria ricostruita su sonorità e dinamiche “vere” dallo stesso Mario) innalza il groove generale rendendo fruibile l’opera anche ad ascoltatori più “rock oriented”. Sicuramente meritano menzioni speciali Vivo fuori, uno dei pezzi forti dell’album contraddistinto da tastiere mai ridondanti in primo piano, cosiccome Il duello, quasi dodici minuti di durata, un brano dalla lunghezza prog ma privo di inutili orpelli o strutture pretenziose. Altri episodi (ad esempio I mostri) raccolgono l’eredità di un certo cantautoriato autoctono (vengono in mente il primo Vecchioni o il compianto Pierangelo Bertoli) nel quale aleggia nel profondo la lezione di Fabrizio De Andrè, dalla quale nessun artista genovese può (volente o nolente) prescindere.
Un lavoro maturo e ben riuscito, quindi, apprezzabile sia nel complesso che parcellizzato sui singoli episodi, un lavoro che merita attenzione, e che ci auguriamo porti ad Andrea Mantero una serie di riscontri perlomeno tra gli addetti ai lavori, poichè su un’opera del genere non cali un ingiusto oblio.