Terza serata: come un viaggio in treno quando non vuoi più scendere
by Martino Serra (photos by Francesca Traverso)
Sapete come mi sento dopo la chiusura della penultima serata del XIII Festival delle Periferie? Come quella volta a Londra che alla fermata di Liverpool Street dovevo scendere dalla metro ma davanti a me era seduta una donna bellissima, ed io non volevo più scendere da quel treno. Sapevo che se fossi sceso non l’avrei più rivista. Stasera, domenica 19 ci sarà l’ultimo appuntamento con il Festival ed io non voglio finisca qui.
Preciso come un treno giapponese alle 21 corro nel backstage e trovo i Bubbles già pronti per suonare, erano in cerchio a fare comunella parlando eccitati delle dimensioni del palco, con tanta voglia di salirci su, tanta adrenalina e tanta voglia di conoscere il pubblico genovese.
Sono venuti da Salerno, oh, ma ci pensate, da Salerno per noi. Per me ogni lettera della parola S.A.L.E.R.N.O. merita uno scroscio di applausi per il sol fatto che hanno macinato più di 700 km per portarci la loro freschezza, la loro energia.
Il loro rock and roll, viaggiava tra melodie 50’s e ritmiche 60/70, per questo il pubblico, dapprima freddo e seduto non ha potuto che decidere di alzarsi da quelle sedie, venute per altro da chissadove. Ma chi ce l’ha messe quelle sedie nelle prime file del palco? Non si mettono le sedie dove si suona del rock, le sedie stanno negli ospizi dove ci sono le telenovele, non dove musicisti premiati saltano sul palco brandendo chitarre!
Insomma, i giovani rockettari salernitani hanno davvero dato prova di saper entusiasmare un pubblico che non li conosceva, il frontman era davvero coinvolgente, coi suoi occhiali scuri da rave, saltava da una parte all’altra del palco, coinvolgendo i componenti della band, avvicinandosi a loro e saltando in ogniddove, finche poi quegli occhiali li ha fatti volare chissaddove.
Il loro repertorio è stato eccezionale e i musicisti sono stati davvero bravi e coinvolgenti, al punto che il frontman, per l’ultimo pezzo è sceso dal palco a cantare al pubblico, incitandolo nel coro e il pubblico, chi a gran voce, chi ballando, ha dato conferma delle potenzialità della boy-band venuta da lontano.
Un velocissimo intervento dei tecnici Dimitri e Jasmine per assettare i cavi e invertire la batteria in posizione mancina ed il punk rock dei Bravitutti ha incendiato la serata. Testi ironici e tematiche quotidiane hanno affascinato i presenti in alcuni casi facendoci tornare ragazzini, come con “Sgamato”, un termine che festeggia il suo 30ennio ma che nel divertente punk rock dei piacentini ha il suo valore etico o dove ci sono tracce che sembrano prese dalle figurine Sgorbions come “Dario il precario” o ancora “Trolley Road” che ironicamente racconta di quel fatto di cronaca dove due giovani piacentini avevano affettato a tranci un uomo e impacchettato in un trolley. Così, dopo averci raccontato storie incredibili di fatti e gesta quotidiane spalmati su base punk-rock ci hanno congedato con l’ultima traccia, di cui non ricordo il titolo, ma ne ricordo la presentazione del frontman: “Dedicato a chi ha una nazista come vicina di casa”. Inutile dire che i meritatissimi applausi si sono ripetuti mentre sorridenti scendevano dal palco. E’ proprio il caso di lanciargli un ashtag: #bravitutti.
Ormai la serata era davvero calda, visto che un sonetto di Mozart avrebbe stonato, l’associazione culturale Metrodora ha così benpensato di metterci in scaletta una band che non ha peli sulla lingua e che sa come farsi sentire: Etica Sterile. Chitarre cross-over, batterie veloci, ritmi tra l’alternative-rock e un pizzico di metal, spingevano Flavio, il frontman della band a puntare il dito su un ipotetico personaggio, cui si rivolgeva con disprezzo e su cui denunciava a nome di tutti la condizione umana che al giorno d’oggi viene costantemente presa di mira ed umiliata al punto di rendere l’uomo un oggetto che viene annichilito e reso sterile.
Gli applausi del pubblico non mancavano, uno sparuto gruppo ballava e pogava sulle forti ritmiche e le chitarre spingevano così duro che a metà del penultimo pezzo al chitarrista di sinistra si spezza una corda che gli rimane a penzoloni. Non sicuro se fosse davvero accaduto o fosse un gingillo portafortuna appeso alla chitarra, mando in avanscoperta la fotomaker ufficiale Metrodora, Francesca e le chiedo di scattare una foto con zoom per accertarmi del fatto e potervelo raccontare nella recensione (pensate che malato che sono) ma appena me ne fa cenno di conferma il pezzo era finito e lui stesso ha chiesto alla band due minuti di pausa per cambiarsi la corda, così io ho potuto recensirlo..che roba forte eh?
Gli Etica Sterile avevano un loro personale videomaker che gli monterà il video dell’evento e credo che se siete interessati a saper qualcosa di più su loro non sarà difficile trovarli in rete.
L’ultimo cambio palco avrebbe impegnato qualche minuto in più ai tecnici, fu così che decisi di approfittarne per portare sul palco il Presidente dell’associazione culturale Metrodora Roberto Giannini e scambiare due chiacchiere insieme. Il grande impegno di queste giornate non gli lascia forse nemmeno il tempo per guardare l’orologio, ma con l’occasione di voler ringraziare il pubblico, Roberto, ha accettato di salire anche per ricordare il compianto Alessandro J. Blisset, chitarrista dei Fungus scomparso da poco, che si è esibito con la band proprio l’anno scorso su quello stesso palco al Festival delle Periferie e a cui quest’anno il Festival è dedicato, facendo coì presente che l’icona del manifesto del festival di quest’anno raffigura proprio l’immagine di Alessandro J. Blisset.
Quando il Presidente è sceso dal palco, accompagnato dagli applausi del pubblico, tutto era pronto per entrare in una nuova dimensione.
Dopo il rock and roll, il punk-rock, il cross-over, l’ambiente ha decisamente cambiato suoni e con i suoni è cambiata anche la percezione degli spazi a noi intorno. Il palco ora era buio, sullo sfondo apparivano le ombre di due figure dietro sintetizzatori e Machintosh e sullo sfondo del palco si è aperto uno spazio bianco dove di li a breve sarebbero comparse parole, misteri, domande esistenziali. Lo scroscio dei loop, il rumore delle cascate, suoni lontani e colpi imminenti in battute tra il tempo e il fuori tempo pervadevano lo spazio a noi intorno. Erano entrati in scena gli Uochi–Tochi.
Un ora di puro spettacolo immaginario, dove il pubblico ha intrapreso un viaggio introspettivo verso cardini esistenziali di cui non ne conosceva non solo la forma, ma nemmeno l’esistenza. Così, apparivano frasi e parole proiettate nel futuro, ma anche nel passato: “A forza di chiedersi cosa è rimasto della poesia e rimasto solo il chiedersi”.
Questa è stata una delle prime frasi che ricordo, dopodichè amici di Metrodora, nemmeno i presenti potranno raccontare la dimensione introspettiva in cui ci siamo trovati e forse nessuno di noi è ancora tornato da quel lungo cammino dentro se stesso, forse nessuno di noi è più riuscito a scendere da quel treno.
Credo che un viaggio così non ritorni mai più.
Vi aspetto stasera per l’ultima serata. Ci tengo. Ho voglia davvero di fare casino.