Recensione pietra miliare: King Crimson – Discipline – 1981
King Crimson – Discipline – 1981 – (Virgin Records)
by Roberto Giannini
Quando un disco cambia il corso della tua vita: per la verità tale privilegio, nel mio caso, è appannaggio di una quantità notevole di album che, a vario titolo in questi primi trentacinque anni di ascolti, sono entrati prepotentemente nel cuore e nelle vene, divenendo “bookmarks” indelebili di fasi e periodi storici e/o personali.
Nel lontano 1981 (anzi, nei primi mesi dell’anno seguente, quando il bel vinile rosso quasi granata comparve tra gli scaffali di un certo negozio dal nome “Music Box”, proprio al centro della sempre affollata Via Sestri) ero un fresco quattordicenne, già colpito da una grave forma di malattia che nessun progresso in campo di ricerca medica avrebbe mai curato: la dipendenza da musica di un certo tipo (malattia che in forma più o meno acuta attanaglia sicuramente chiunque stia leggendo queste righe).
Certo, la collezione in quel periodo non superava le 25-30 unità, e qualche mese prima mi ero follemente innamorato di un album con una copertina straordinaria, al tempo stesso affascinante ed inquietante, che rappresentava (almeno nella front side) un volto umano spaventoso, dalle forme improbabili che sprigiona catastrofica disperazione in ogni pennellata, tanto da poterlo emotivamente paragonare ad un’opera che fin da bambino mi aveva inquietato e turbato: “The scream” (lo voglio citare in inglese in onore di un altro di quegli album che fanno parte della categoria descritta all’inizio di questo scritto) di Edvard Munch.
L’album in questione non può essere altro che il fantastico esordio di una band che ha cambiato per sempre il corso della storia della musica contemporanea: i King Crimson di sir Robert Fripp.
Sapevo in quel fatidico 1981 che la band di Fripp era ferma da un po’, addirittura sciolta, dopo essere passate da almeno altre due fasi (quelle del periodo “Lizard”/”Island” e quella intorno al ’74 contraddistinta da un’altra pietra miliare dal titolo “Larks tongues in aspic” e da “Starless and bible back“), quindi, in epoca lontanissima dalla rete e da informazioni in tempo reale, vedere quella copertina in quella vetrina mi aveva procurato un sussulto, tanto da farla tirare via dal negoziante e procurarmi in fretta e furia le 11.000 lire necessarie per portarmelo a casa.
Letti i nomi dei componenti della band sul retro, un misto di delusione e curiosità e la fretta/ansia di metterlo sul piatto: sentimenti provocati dal fatto che, si che c’erano Fripp e Bill Bruford (che era già un mio drummer/ idolo per il lavoro eccellente svolto con gli Yes del periodo d’oro e per il già citato “Larks”), ma di un tale Adrian Belew, e tanto meno di Tony Levin (non avendo perdonato a Peter Gabriel di aver lasciato i Genesis e detestando di conseguenza la sua iniziale carriera solista, non sapevo di certo chi fossero i suoi musicisti) accreditato al basso non avevo mai sentito parlare.
Ma bastarono circa 45 secondi dell’iniziale Elephant talk, per capire che quello che avevo tra le mani sarebbe stato un disco di li in poi imprescindibile. Due chitarre lancinanti ed allucinate su un tappeto ritmico “da paura”, il basso, che in copertina veniva denominato “stick” suonato in una maniera come non si era (almeno per me giovin imberbe) mai sentito. Anche la voce di questo Belew risultò subito affascinante, nonostante non avesse nulla a che vedere con quella di Greg Lake presente sull’altro album della band in mio possesso. Proseguendo con Frame by frame queste belle sensazioni d’impatto proseguirono, anzi aumentarono. Un attacco mostruoso di stick e chitarra, subito supportati dai rulli di Bruford. Sensazione netta di avere davanti il disco del futuro (non conoscevo ancora “Remains in light” dei Talking Heads, che per fortuna non tardò a comparire nel mio scaffale, e del quale presto appresi della presenza di Belew, cosiccome dello stesso Fripp, nella line up).
Basta a questo punto parlare al passato, poichè Discipline, a quasi 35 anni dalla sua pubblicazione, spiazza, emoziona, rimane tuttora inarrivabile.
Certo oggi sappiamo della grandezza immensa di Adrian Belew (Frank Zappa, Tom Tom Club, Nine Inch Nails, Paul Simon, Porcupine Tree ecc.) o che Tony Levin è uno dei più grandi bassisti degli ultimi 40 anni (sviscerarne il curriculum meriterebbe un articolo a parte).
Sappiamo anche che Fripp & co, nonostante gli ottimi “Beat” e “Three of a perfect pair” (che completano la trilogia dei primi anni ’80), non si avvicineranno più neppur lontanamente ai livelli di questo capolavoro.
Ma l’immensa grandezza del blues Matte Kudasai, o il miglior post-rock mai suonato (Indiscipline), le schizzate sonorità etniche di Thela Hun Ginjeet che avrebbero potuto comparire nel monumentale album della band di David Byrne già citato, sono già parte della miglior storia della musica che più amiamo; cosiccome le rarefatte chitarre sui tappeti ritmici mediorientali di The Sheltering Sky, o quelle sincopate e spigolose sulla cassa in quarti della conclusiva title-track sono roba da far impallidire qualsiasi math rock o new prog band del nuovo millennio.
Negli anni novanta e nei duemila la band di Fripp si riformerà, sia in sestetto (Thrak del 1995) che in quartetto (Vroom e seguenti) con Trey Gunn e Pat Mastellotto, ma nonostante maestria tecnica e idee mai esaurite, i vertici creativi dell’album che stiamo trattando (e dei due successivi) rimarranno pura utopia.
Discipline…chi non l’avesse mai sentito, clicchi qui sotto per l’ascolto in free streaming…sicuro che il passo successivo sarà la ricerca del supporto fisico, possibilmente il bel vinile che con un po’ di fortuna per una ventina di euri si riesce ancora a trovare, sia nei mercatini virtuali che in quelli reali.
Track list:
1. Elephant Talk
2. Frame By Frame
3. Matte Kudasai
4. Indiscipline
5. Thela Hun Ginjeet
6. The Sheltering Sky
7. Discipline
Line up:
Adrian Belew – guitar, lead vocals
Robert Fripp – guitar, devices (Frippertronics)
Tony Levin – Chapman stick, bass, backing vocals
Bill Bruford – drums, percussion