Fabio Rossi – Emotion, Love & Power. L’epopea degli Emerson, Lake & Palmer – recensione
Diciamolo subito: questo volume (edito da Officina di Hank, 2020, seconda edizione) è ben più di una biografia musicale. EL & P, uno e trino. Il gruppo sì, ma anche tre individualità ben distinte che, per un certo periodo della loro vita, si sono trovate a condividere un destino non solo musicale. E il titolo suggerisce già un’impostazione “passionale”, da parte del suo autore che, però, non è un fan desideroso di raccontare il proprio punto di vista sull’epopea dei suoi beniamini. Fabio Rossi sposta l’asticella: ci racconta (anche) l’aura esistenziale dei tre musicisti, al di là di una sigla. Emozione, amore e potere, appunto. Dietro ai suoni, c’è la vita che pulsa, anzi, che grida. Così, attraverso la voce dei protagonisti, impariamo a conoscere prima Keith, Greg e Carl, poi gli Emerson, Lake & Palmer; tre sensibilità molto diverse tra di loro, ricche di sfaccettature umane oltre la scorza divistica, spesso relazionate con un trasporto scrittorio emotivo e toccante (l’infanzia solitaria di Keith, ad esempio, ma non voglio spoilerare…).
La struttura regge e bene, grazie soprattutto ad una competenza documentaria dal sapore enciclopedico: Rossi – quasi a bordo di una macchina del tempo – ci trasporta in quel mondo musicale denso di fermenti, sempre e ovunque, indipendentemente dal decennio affrontato, perché dove i tre si trovassero (insieme o separati) succedeva sempre qualcosa di interessante.
Uno dei meriti maggiori del testo risiede anche nel fatto che Rossi non si è minimamente risparmiato nell’illuminare una fase spesso trascurata, quando si toccano i grandi gruppi storici del prog, ovvero quella relativa agli ultimi tre, quattro decenni. Come mai? Ma perché l’era dei capolavori è alle spalle, quindi a che giova scriverne? E questo è un errore di prospettiva critica, in cui l’abile Rossi non cade ma, anzi, regala al lettore preziosi risultati da scavi profondi, generando pure la curiosità di andare ad ascoltare ciò che è passato sotto silenzio o che abbiamo trascurato per pregiudizi nostalgici.
Un unico piccolo appunto (da ex bibliotecario rompiscatole): purtroppo le numerosissime (e probanti) citazioni dei tre, non trovano un diretto riscontro bibliografico sul testo; in parole povere, non si capisce da dove siano state tratte. Certo, a mo’ di appendice, viene riportata una bibliografia, ma, quando si legge, le testimonianze dirette non hanno riferimenti. Editorialmente posso anche capire che un ipertrofico apparato di note a pie’ di pagina avrebbe potuto spaventare il lettore e disturbarne la lettura, però, sinceramente, è qualcosa che (almeno a me) è mancato (anche perché immagino siano state svolte delle traduzioni e altro ancora).
Ovviamente questa annotazione di contorno – sì, lo confesso – un po’ pedante, non condiziona affatto l’impressione e la resa qualitativa di un lavoro notevole e che, nella letteratura del progressive rock, mancava. Quando un libro ti mette addosso la smania di ascoltare, significa che ha colpito nel segno e, in questo caso, la frenesia parte dopo poche pagine e non ti abbandona più.
P.S.: dettaglio tutt’altro che trascurabile: prefazione di Vittorio Nocenzi…
Riccardo Storti (articolo originale sul blog Asterischi di Musiche)