Edmondo Romano – new album – Religio – full streaming e recensione
Lo scorso 23 febbraio è uscito il nuovo lavoro di Edmondo Romano, Religio, ultimo capitolo di una trilogia iniziata nel 2012 con Sonno Eliso e proseguita due anni più tardi con Missive Archetipe. Quanto ai dettagli sull’evoluzione di quest’ampia struttura concept, rimando al post scritto in occasione dell’illuminante ascolto pubblico, tenutosi il 24 novembre 2023 presso la Biblioteca Universitaria.
Ora non ci resta che fare partire il play ed entrare in Religio con passo laico (visto che il sottotitolo reca una didascalia piuttosto esplicita: “Life and spiritual practices that create a human cathedral”).
Vediamo subito le squadre in campo, o meglio, la variegata tavolozza dei suoni; non un minestrone, ma un impianto complesso che consente a Romano di spaziare con le sue composizioni attraverso i generi e oltre i generi. Romano, per sua (libera) natura, non sfoggia ma sfugge da qualsiasi tentativo di etichettatura tassonomica.
Fa musica e questo basta, tanto che qui dialogano un quartetto vocale, un trio jazz, un altro quartetto (d’archi), suoni elettronici, chitarre elettriche ed acustiche e il canto dei fiati di Romano, ovvero l’input da cui tutto è nato. Questi ultimi, in particolar modo, giocano un ruolo chiaroscurale capace di mutare qualsiasi atmosfera non solo timbrica, ma anche melodica: una magia di luci sonore dalle ombre del clarinetto basso e del low whistle al calore etnofonico dei vari duduk e chalumeau.
L’opera si apre con La creazione, vero e proprio portale quasi in forma di oratorio: uno strano corale tra musica da film e incidental music per il teatro con qualche consonanza al panneggio strumentale reverberiano di Tutti morimmo a stento di De André, ma con un’affascinante coda di archi dalla vivacità novecentesca (quando Schönberg se ne stava indeciso e fermo nella terra di mezzo tra tonalismo e atonalismo). Il sacrificio è l’intermezzo fiatistico che ci conduce subito ad un cambio di prospettiva musicale, What I Want to Be: una canzone, affidata alla voce di Roberto Tiranti, che apre il confronto con il jazz, ma secondo un approccio aperto: la grana canora di Tiranti lascia emergere una suggestione precisa – An Englishman in New York di Sting, sarà anche il sax… -, però, il pianoforte sviluppa un motivo bachiano (se fosse un vibrafono urlerei al Modern Jazz Quartet); le sorprese non finiscono qui, perché nella conclusione arriva un’inattesa sequenza elettronica alla Terry Riley.
È un jazz che ritorna volentieri nella tracklist: talvolta ha tinte etniche (la seconda parte di Agapé tra Balcani e Brasile, visto che i vocalizzi rammentano la Bachiana n. 5 di Villa Lobos), altre integralmente free (il finale di Le tourment), per andare a sposarsi con il camerismo classico (La parola IO).
In questo disco, a dirla tutta, i fiati di Romano lasciano maggiore spazio di manovra soprattutto ad un comparto vocale, prevalentemente femminile: In estasi è prima di tutto un pezzo di bravura scrittoria: c’è una partitura curata, che punta a verticalizzazioni polifoniche di sapore fiammingo, eppure non così lontane da esperienze contemporanee che potremmo aggiustare in un campo largo tra Arvo Pärt e Art of Noise, senza escludere il Michael Nyman alla corte di Greenaway; in altri episodi avviene la fusione con l’impianto cameristico (Il colore del mio corpo) oppure si sconfina, senza forzature, nella prassi del lamento barocco (Nel mio andarmene).
Clarinetto protagonista nei lucori mediorientali di La seduzione, brano vivacizzato da una vaga aura floydiana dettata dalle tastiere (tra cui si impone la presenza di un Hammond); un protagonismo che, comunque, diventa generoso quando cede il testimone ad una lunga cadenza pianistica (eseguita da Tina Omerzo) sul ritmo ternario di La scelta.
La conclusione ha qualcosa di teatrale: lo avvertiamo già nel passo da processione di Ritus, con quelle frasi di chalumeau non distanti dai miroloi epiroti; finale esplosivo per forza dinamica con L’urlo di Eliso grazie agli sferzanti staccati degli archi più gravi che accompagnano le urla fuori dal tempo di Lydia Giordano: il suono è di una tattile e prensile drammaticità all’ennesima potenza, quasi sinestetica, perché sentiamo lo Stravinsky di La Sacre du Printemps e di Le Noces, ma vediamo il Pasolini di Medea e di Edipo Re.
Religio si presenta come una conferma della maturità compositiva di Edmondo Romano: sa maneggiare con padronanza gli stili, perché li sa mettere a disposizione di un progetto più vasto che, per contenuti e pertinenza, sa andare oltre lo spartito.
Hanno suonato nel disco:
Edmondo Romano sax (soprano, sopranino), clarinetto (Sib, Do, Mib), clarinetto basso, duduk, chalumeau, low whistle, flauto dolce (soprano, contralto), kanjira, tastiere, programmazione
Simona Fasano, Karin Selva, Giulia Beatini, Roberto Tiranti, Paola Cialdella, Vera Marenco,
Lydia Giordano, Egle Doria, Silvia Napoletano, Edmondo Romano voce
Tina Omerzo pianoforte
Luca Falomi chitarra elettrica
Alessandro Serri chitarra classica, basso acustico
Roberto Piga, Teresa Valena violino
Ilaria Bruzzone viola
Kim Schiffo violoncello
Riccardo Barbera contrabbasso
Rodolfo Cervetto batteria
Olmo Manzano percussioni
Yoko Hanzai voce recitante (in Nel mio andarmene), adattamento di un haiku di Masaoka Shiki