Born To Run: l’odissea rock del boss Bruce Springsteen – recensione
Siete pronti a calarvi nelle strade sporche del New Jersey, tra operai italo-irlandesi e un rock’n’roll ancora in gestazione?
Siamo negli anni Cinquanta; la dirompenza della musica rock sta lentamente cominciando a stravolgere orecchie e coscienze.
Un ragazzino della cittadina industriale di Freehold, teppistello di Randolph Street, di famiglia poverissima, noleggia una chitarra. Il suo maestro di musica vorrebbe fare di lui un vero chitarrista, ma il piccolo Bruce non si applica. “Ancora oggi non leggo gli spartiti.”
A sette anni, Bruce Springsteen abbandona temporaneamente il sogno del rock, per farvi ritorno pochi anni dopo, folgorato dalla musica dei quattro inglesi con il taglio di capelli un po’ discutibile (già, proprio i Beatles).
La vita, però, non è affatto facile per un ragazzino italo-irlandese nel New Jersey di inizio anni Sessanta. Ci sono tensioni razziali e idee mediocri della generazione precedente che rimangono ben salde, tra i principi che dominano una società così ristretta e provinciale.
Bruce si fionda ogni santo giorno nell’unico negozio che vende dischi, e aspetta con trepidazione il carico dall’Inghilterra. Quanto è difficile, oggi, immaginare la meraviglia di un ragazzino che mette le mani sull’ultimo album della propria band preferita?
La musica black, sacra madre del rock, ha reso la musica democratica. Nell’America razzista di inizio secolo (lo scorso, ormai) anche i poveri e i neri possono diventare artisti. Charles Mingus può diventare una leggenda del jazz, nonostante l’educazione musicale di second’ordine riservata a quelli della sua classe e razza. Nina Simone, ancora Eunice Waymon, può tentare di dar vita al proprio sogno: essere la prima pianista classica nera di successo.
E nel New Jersey degli anni Sessanta, quando ormai è il rock a farla da padrone, Bruce riprende a suonare.
Quali sono le probabilità di successo, per un giovane esponente della working class di provincia, dal padre alcolizzato e la famiglia costantemente sul lastrico? Poche, probabilmente. Eppure l’ingrediente che fa la differenza è lo stesso per Bruce, Charles ed Eunice: la fame.
A volte è fame nel senso letterale del termine, altre volte è quello che in inglese si definisce outburst, una vera e propria esplosione. Una ricerca. Innanzitutto di libertà e di riscatto, che per Bruce sono una fedele traduzione del termine rock.
Sono queste le premesse degli ottanta capitoli che compongono l’autobiografia del Boss ed è questa, a mio parere, la chiave di lettura per comprenderla appieno.
Sono tante le pagine emozionanti, a partire dalla descrizione del rapporto con la madre, una donna forte e presente. Ci sono poi i primi viaggi on the road, con troppe chitarre caricate in macchina, la prima volta per radio e le prime delusioni nel mondo discografico.
Non mancano racconti più personali, sulla propria vita privata, dall’infanzia ad oggi, ma, almeno per un’aspirante artista come me, sono le pagine dedicate al viaggio musicale dei primi anni quelle a risaltare.
Determinazione e un pizzico di incoscienza, sacrificio e passione: l’odissea rock di Bruce Springsteen è una lezione valida per tutti noi.
Born To Run è una lettura obbligata per qualsiasi appassionato di musica e per chiunque stia cercando di realizzare un sogno, non importa quale.