Billy (and) the Kid, tra cd, vinili e storia del punk part 2
L’incrocio
(la musica fatta con i dati di mercato)
by Alberto Canale, Flamingo Records
La morte del rock ‘n’ roll, c’è già stata o deve ancora arrivare il giorno in cui l’ultima palata di terrà verrà gettata sulla tomba della musica che amiamo? Il genere (qui inteso come musica alternativa) è stato dato per morto innumerevoli volte, ed in qualche modo è sempre riuscito a trasformarsi in qualcosa di nuovo, diverso e travolgente.
Tanto che le radici dell’albero del rock ‘n’ roll si sono diramate a tal punto da essere, talvolta, antitetiche tra loro. Prova a spiegare a chi ascolta pomposa ed arzigogolata musica anni 70′ che andando indietro troverebbe antenati comuni con il più grezzo punk o con il metal più estremo.
Ad oggi mi sembra sempre più complessa una ripresa o comunque una nuova evoluzione della musica meno commerciale, proprio perché è di commercio che parliamo. Mentre prima il rock concorreva su un piano diverso rispetto alla musica pop, attraverso la promozione di appassionati, di passa parola, di cassette copiate o polverosi negozi di dischi, oggi il canale attraverso qualunque tipo di musica deve passare è lo stesso, ovvero Internet, che agli albori era una speranza illusoria, un mezzo attraverso il quale finalmente avremmo potuto ascoltare cose soltanto immaginate e gruppi di paesi lontani.
Ma come è avvenuto tutto questo? Prima dell’avvento dei social network più moderni, con la condivisione di musica gratis online? Non credo, Jay Reatard è stato uno dei fenomeni più felici della musica underground ed ha vissuto la sua cariera musicale in piena era download, tra il 2000 ed il 2010, quando con i vari Napster ed Emule scaricavamo qualunque porcheria ed i nostri lettori mp3 straripavano di musica.
Il vero cambiamento è avvenuto con la condivisione in rete dei nostri dati sensibili, che di fatto hanno reso ogni secondo della nostra esperienza internet un sondaggio di mercato continuo, decine di milioni di dati si incrociano in ogni momento, fornendo a chi sa interpretarli degli andamenti di preferenza di noi consumatori.
Non è un caso che tra le prime aziende al mondo al momento troviamo Alphabet (la società di holding che sta a capo di Google), le aziende come Apple e Samsung che di fatto hanno il monopolio della tecnologia da cui accediamo ad Internet ed Amazon.
Beh, ora tu, chitarrista di trent’anni che fa musica con i suoi amici in una sala prove orrenda, gelida in inverno e torrida d’estate, mi dirai che te non vai certo a leggere i dati dei sondaggi quando fai musica, certo che no amico mio, ma ti spiego che diamine sta succedendo.
Io, come qualcuno saprà, sono più che altro legato al punk, musica di rottura per eccellenza, che però al momento sta continuando ad appoggiarsi sui i mostri sacri degli anni 90′ ed a proporre copie sbiadite dei propri idoli. Un sottogenere che sta da qualche anno riscuotendo un certo successo è il Ramonescore, che in soldoni significa fare musica secondo i canoni dei Ramones, ossia tre accordi, ritornelli catchy di poche parole e così via.
Addirittura esistono etichette discografiche molto attive e festival bellissimi dedicati al genere, su tutti Punk rock Raduno di Bergamo, che propone quattro giorni di musica con ingresso gratuito con artisti internazionali (l’anno scorso CJ Ramone, per dire!).
Joey Ramone ha sempre detto di voler fare i Beach Boys e di non esserne capace, dando vita ad una delle più grandi band di sempre, ancora oggi, in rete, una foto dei Ramones, di un loro LP o di una Mosrite, generano piogge di like.
Mettere like sotto una foto, un gesto leggero, spontaneo, senza impegno, che però per il mercato ha un grosso significato: chi ama il punk ama i Ramones. Ecco che persino noi punk rockers, per anni fuori dal mercato, quelli che compravano dischi usciti in mille copie con scritto “non pagare più di 1000 lire”, stiamo facendo in modo che la nostra musica non evolva e non cambi.
Le copertine dei dischi tendono ad avere grafiche che le associno subito a qualcosa di già esistente, le t-shirt con il logo dei Ramones modificato (nel gergo si dice Rip off) per essere adattato alla band locale si moltiplicano, tutto si standardizza ed il vecchio continua a vincere sul nuovo.
Ultimamente sto ascoltando molto i Beeachwood, gruppo garage newyorkese con richiami agli anni 60′ ed un look che non nasconde certo questa passione per il retrò, morale? anche l’eccellenza sta diventando una riproposta (se pur di classe e di altissimo profilo) di qualcosa di già sentito.
Non solo la musica sta subendo queste dinamiche, viviamo in un’era cinematografica buia, fatta di remake e scadenti mega produzioni sui supereroi. Perché fare un remake? Semplice, è confutato che la nostalgia sia un tema che riscuote attualmente un grande consenso (il ritorno del vinile ne è una prova), persino nei più giovani. Online la gente riguarda le scene più divertenti dei Ghostbusters? Taaac, orrendo remake con protagoniste femminili. Bohemian Rapsody è sempre tra i video più visti di YouTube?
Eccovi un discutibile film scritto e diretto non con passione ma con i dati alla mano. Normale e comprensibile che chi fa musica, gestisca una piccola etichetta cerchi di allinearsi a questa voglia delle persone di rivivere esperienze passate, proponendo (a volte ottime) rivisitazione di ciò che amavamo prima, semplicemente perché l’alternativa al momento non c’è.
Non voglio dare un giudizio su quanto sta avvenendo, voglio solo invitare a riflettere sul perché amiamo così tanto il passato; il passato è concreto, stabile, indelebile. La VHS Disney l’abbiamo consumata, non c’era scelta, era quella che avevamo e l’abbiamo guardata alla nausea, facendo impazzire i nostri genitori, normale che se ora rivedi su Instagram una maglietta con Dumbo sopra piazzi un like, stai semplicemente rimarcando una cosa concreta della tua vita, che ti ha formato.
Questo pian piano allineerà la musica in poche direzioni e ci sarà sempre meno varietà, il consumo di musica si incanalerà e chi ha sempre cercato con fame le novità più underground si troverà ad ascoltare sempre meno prodotti originali, fino a quando il mercato sarà saturo e ci verrà la nausea dell’ennesima band che suona come i Ramones, i Nofx o altri gruppi che amo alla follia.
La soluzione al problema non credo sia né quella di alienarsi né quella di rompere con il passato, ma credo sia semplicemente quella di contraddire un po’ gli andamenti di mercato, di cercare un po’ più in profondità, magari attraverso canali alternativi. Le pagine internet e Facebook non sponsorizzate tendono ad essere sommerse da chi può permettersi grosse sponsorizzazioni, beh è il caso che sia tu ad andarti a cercare le band di cui non hai notizie da un po’.
Siate onnivori e guardatevi intorno, la musica valida esiste, va solo aiutata a venire fuori, anche con gli acquisti, una ristampa di un album di quarant’anni fa in edizione limitata per il Record Store Day è trascurabile, magari con quei 30 euro prendi due o tre vinili di band locali che spaccano i culi e che saranno i tuoi idoli di domani. I grandi sono ciò che sono perché qualcuno ha creduto in loro quando non erano nessuno, dare questa possibilità vale più del passato da rivangare.