Sull’isola deserta con Franco Battiato part 2: gli anni ottanta
È il decennio della popolarità. Il problema – sempre che esso sia un problema – risiede nel fatto che Battiato sia percepito più come una sorta di eccentrico personaggio mediatico, che non un compositore che scrive testi, li arrangia e li canta; insomma, sfugge un po’ la dimensione artistica a scapito di quella costruita ad arte dagli addetti alla comunicazione (mandiamoli in pensione insieme ai direttori artistici…).
Per molti di noi – nati tra il 1960 e il 1970 – Battiato era “questa cosa qua”: ci innamorammo subito della sua eccentricità, come potevamo farlo per il Vasco che andava al massimo in quel di Sanremo o per i Righeira che preferivano la playa (con gli ombrelloni oni oni nel vento caldo dell’estate…).
Ma da quel momento non perdemmo un disco, alcuni – magari – li abbiamo digeriti un po’ a fatica, così ci siamo girati indietro, recuperando il tempo perduto dei collage di cui tanto ci avevano parlato i fratelli maggiori.
Quegli anni Ottanta, però, restano un tessuto audio-connettivo tra rumore di fondo in FM e soundtrack esistenziali. Battiato c’era. Sempre.
Frammenti (Patriots – 1980) – Si citavano i collage. Negli anni Settanta, Battiato li confezionava incollando pezzi di nastri magnetici. In questo caso, invece, le forbici ritagliano versi da pagine di un’ipotetica antologia poetica tra Otto e Novecento. “Frammenti”, appunto, da Leopardi, Carducci e Pascoli che creano uno spaesamento nell’ascoltatore (un po’ lettore?), fin lì già perplesso nell’immaginare l’aurora boreale a Borgo Panigale. L’operazione non è cambiata, mutano i materiali, compresi quelli musicali, strutturati su una sequenza sbarazzina e ballerina, leggera e mobile (forse non troppo nobile) che anticipa i ritmi – ma che ci sento, io? – di In Between Days dei Cure.
Segnali di vita (La voce del padrone – 1981) – Questo disco per molti di noi è stato un vero e proprio imprinting: è la nostra Recherche in cui fissare sensazioni ferme al periodo adolescenziale con tutte le sollecitazioni del caso. Ecco perché Segnali di vita è qualcosa che può smuovere molti mattoni – ancora freschi di cemento – nell’elevazione del proprio edificio vitale, soprattutto quando hai 13 e 14 anni. Battiato ti fa più pensare di quanto leggi sui libri di scuola: arriva prima. Perché è un po’ filosofo e un po’ poeta e tu non sai ancora nulla né di filosofia, né di poesia, ma qualcosa percepisci già. E cresci…
” Segnali di vita nei cortili e nelle case all’imbrunire
Le luci fanno ricordare
Le meccaniche celesti”
…e questa te la porti dietro per tutta l’esistenza insieme ad un corredo musicale tra la colonna sonora, il concerto classico per pianoforte e orchestra e il lied romantico.
Esodo (L’arca di Noè – 1982) – Lascerei un po’ perdere il Battiato profeta che avrebbe previsto i flussi migratori della contemporaneità. Battiato era uno che sapeva leggere la realtà, che conosceva bene il passato (ovvero la Storia) e, in quanto artista, era in possesso di una tale sensibilità da riuscire a trasfigurare qualsiasi concetto in messaggi lirici potenti. Esodo, a bene vedere (anzi, “a ben sentire”), non è nemmeno una delle composizioni più riuscite del nostro, ma colpisce per il modo in cui sa comunicare un senso di apocalisse, di non ritorno, di ineluttabilità. I gesti corali hanno qualcosa dei Requiem più drammatici della storia della musica: sono una cellula di Dies Irae riversata in una melma electro-pop dai contorni ritmici e dinamici ossessivi, nonché ipnotici. Echi, sequencer e tappeti di sintetizzatori, un basso pulsante, una batteria in “quattro” e via: molto essenziale; dolcemente inquietante.
Mal d’Africa (Orizzonti perduti – 1983) – Qui ormai l’elettronica si è quasi completamente sostituita alla classica strumentazione elettroacustica di sala; per tale motivo non ho mai amato particolarmente questo album. Eppure, anche il modo di riscrivere la propria musica attraverso altri materiali espressivi è un indubbio segnale di sperimentazione in itinere; al tempo stesso, una simile prassi interpretativa e strutturale rimarca una chiara sintonia con la musica di consumo di quegli anni. Dal mazzo scelgo Mal d’Africa, forse per l’atmosfera crepuscolare data dai ricordi infantili del nostro, rapito dalle suggestioni extracontinentali della sua Sicilia (quando sostengo che la Sicilia non è (solo) Italia, ma molto di più).
L’animale (Mondi lontanissimi – 1985) – Il livello si alza notevolmente su tutta la linea: c’è un ritorno ai suoni de Le voce del padrone e L’animale ha una fisionomia lirica non tanto diversa da Segnali di vita: ci sono il pianoforte e gli archi, una voce sopranile lontanissima, tessiture classiche e qualche spennellatura elettronica che non guasta, per nulla invasiva. Il testo, poi, avvince con quel “tu” indefinito rivolto ad un destinatario presente nella vita di ognuno di noi, incapaci di cambiare, troppo legati alle passioni terrene, quando ci farebbe bene starcene un po’ da soli, se non altro per capire di quale pasta siamo fatti.
L’oceano di silenzio (Fisiognomica – 1988) – Che cos’è il misticismo se non una perenne ricerca interiore tendente a superare i limiti dell’umano, del terreno, per cogliere la spiritualità nella sua essenza? Tale percorso non necessariamente passa attraverso la rigidità dell’appartenenza ad una determinata confessione religiosa. Ecco, in questo senso Battiato non si trova a “ricercare” solo in canzoni come L’oceano di silenzio o E ti vengo a cercare: questi sono solo frutti collocabili in quel momento. Quel che conta sono le indicazioni che puntano tanto all’allure paleocristiano di Isacco di Ninive quanto al messaggio sufi di Rumi, fino ad avvicinarci a Buddha, allo sciamanesimo e allo shintoismo. “Cosa avrei visto del mondo/ senza questa luce che illumina/ i miei pensieri neri?” – ce la potremmo porre questa domanda, ma solo “dopo” essere stati destati dal nostro sonno. La canzone è solo il primo tocco di campana, quando abbiamo dimenticato di puntare la sveglia.
(Riccardo Storti – seconda parte)(articolo originale sul blog dell’autore) Vai alla puntata precedente: gli anni settanta