Gli album resistono alla cultura del download
L’album da studio inteso come opera da apprezzare nella sua completezza – e non come raccolta di brani da selezionare e inserire in una playlist a proprio piacimento – non sarebbe una reliquia a esclusivo appannaggio dei bei tempi andati, quando sugli scaffali dei negozi di dischi regnavano i long playing: a rivelarlo è una ricerca condotta dalla piattaforma di download musicale Qobuz e da Sony Music su oltre 2000 appassionati di musica residenti in Regno Unito, Irlanda, Germania, Austria, Svizzera, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo e Francia, secondo la quale a “salvare”, anche nell’epoca del download (più o meno selvaggio) e delle playlist, sarebbe l’avvento sui mercati dei nuovi formati audio ad alta qualità.
I risultati dell’indagine sono piuttosto chiari: gli intervistati – un quarto dei quali compra ancora tra 5 e 10 album ogni tre mesi – ha mostrato di preferire in grande maggioranza (l’84%, per la precisione) l’acquisto di un album in alta definizione che di una singola traccia digitalmente compressa secondo gli standard attuali. Ad attestare, anche dal punto di vista commerciale, la tendenza, è Qobuz, che solo lo scorso settembre 2014 ha fatto registrare il sorpasso delle vendite di tracce e album in hi-res (pari al 53% dei download totali) su quelle in formati digitali tradizionali.
Tecnicamente parlando, per alta risoluzione di intende lo standard usato negli studi di registrazione (24 bit/96 kHz), nettamente superiore a quello (16 bit/44,1 kHz) utilizzato per la stampa dei CD e dei rimanenti formati digitali: “Penso che questa sia una grandiosa opportunità per i fan che desiderano scavare più a fondo nelle note”, ha spiegato il frontman degli Editors Tom Smith, che ha presentato – a Londra – gli album “In this light and on this evening” e “The weight of your love” in formato Hi-Res, “In qualità di musicista, è fantastico sapere che le sonorità delle tracce possono essere esplorate in tutte le loro sfaccettature. L’audio ad alta risoluzione offre al pubblico la possibilità di avvicinarsi al momento della registrazione e, quindi, alla visione dell’artista molto più di prima”.
Articolo riportato dalla webzine rockol.it