I musicisti stanno male (?) – riflessioni di una cantautrice
Qualche giorno fa ho preso parte ad un sondaggio proposto da Michele Maraglino sulla condizione di musicista indipendente in Italia. Il questionario è stato compilato da 200 persone, un campione, se non larghissimo, direi comunque abbastanza rappresentativo.
Come potete facilmente intuire dal titolo di questo post, i risultati non sono molto incoraggianti, ma la mia idea è arrivare alla fine di questo sermone con qualche soluzione in mano.
La musica dal vivo
Innanzitutto, è emerso che la difficoltà più grande per un artista indipendente consiste nel trovare spazi in cui suonare dal vivo, attività, tra l’altro, che dovrebbe costituire anche la fetta più larga degli introiti di un musicista.
Solo il 2% del campione dichiara di fare più di 80 date l’anno, l’83% non ha mai collaborato con un’agenzia di booking e il 72% (io tra questi) ha dichiarato di aver svolto almeno una volta nella vita l’attività di fonico durante un proprio concerto. Il quadro è abbastanza chiaro: non solo le occasioni di suonare sono poche e le agenzie di booking generalmente inaccessibili, ma i locali in cui si riesce a suonare sono di solito poco o per niente attrezzati.
In effetti, in Olanda, Inghilterra e Stati Uniti, Paesi esteri in cui mi sono esibita finora, ho sempre trovato impianto e fonico “della casa” perché generalmente all’estero esistono molti più locali dedicati quasi unicamente alla fruizione della musica dal vivo, mentre in Italia abbiamo più che altro bar, pub e ristoranti che ospitano eventi di musica dal vivo.
Sia chiaro, anche a Londra mi è capitato di suonare in ristoranti e bar, in cui la mia musica serviva più che altro da sottofondo e dove non ho trovato né impianto né fonico. Al tempo stesso, però, mi sono esibita in diversi contesti dove la musica era il vero focus della serata e dove mi è bastato portare la chitarra e collegarla al jack.
Che cosa significava questo, in soldoni?
Beh, significava non essere pagati. Mi spiego meglio: è vero che all’estero esistono locali in cui si suona con una certa soddisfazione, grazie alla presenza di un fonico professionista e di un pubblico che è lì solo per ascoltarti, ma il proverbiale altro lato della medaglia è che il 90% delle volte non viene corrisposto un cachet per la serata.
Vivere a Londra facendo solo la musicista, pur frequentando club parecchio fighi tra Soho e Camden, sarebbe stato, insomma, impossibile. La stessa cosa avverrebbe ad Amsterdam o a New York.
Questo non significa che sto “difendendo” lo scenario musicale italiano, spesso guastato da circuiti chiusi entro cui suonano sempre i soliti, in cui il nuovo si vede come la competizione da distruggere, innescando una guerra tra poveri che, forse proprio per il meccanismo sopra esposto, all’estero non ho mai visto, ma vorrei piuttosto riflettere e invitare a riflettere su un modo economicamente sostenibile per prendere il buono di questo sistema e migliorarlo.
Prima di darvi la mia idea su una possibile soluzione, vorrei velocemente passare in rassegna gli altri punti critici rilevati nel sondaggio, in particolare la difficoltà per un musicista indipendente di trovare un’adeguata copertura mediatica per promuovere la propria musica.
Trovare un proprio spazio nei media
Ben il 72% del campione (io tra questi) ha dichiarato di non aver mai lavorato con un ufficio stampa professionale. Il dato interessante, però, è che il 52% di quelli che invece hanno dichiarato il contrario si è pentito della scelta, indicando come motivazione una spesa eccessiva per un risultato discutibile (troppi soldi in cambio di poche pubblicazioni).
Certo, spendere migliaia di euro all’inizio della propria carriera, quando un articolo su un blog tipo All Music non cambierà di una virgola il modo in cui il pubblico ti recepirà, mi sembra una strategia sbagliata. Con così tante informazioni disponibili su un qualsiasi blog di carattere musicale, molte che riguardano il mondo del mainstream e delle major, sai quanto gliene importa al lettore medio dell’articolo su di me e te, sconosciuti ai più?
…e quindi?
Riassumendo, si potrebbe dire che i musicisti indipendenti, in Italia, suonano poco e male e riescono a fatica a promuovere, attraverso i media, la propria musica.
Essendo questi aspetti il fulcro delle mie giornate da circa due anni a questa parte, vi confermo che i risultati del sondaggio sono molto rappresentativi della (mia) realtà.
Arriviamo, però, al punto in cui fare un passo in avanti e, con i dati alla mano e la cruda realtà ben chiara, fornire soluzioni, o almeno provarci.
Finora ho adottato queste misure di sopravvivenza: un po’ di busking in diverse zone d’Italia; moltissime ore impiegate a contattare locali in cui suonare; tante email a blog, riviste e radio per promuovere i miei album.
La strategia più vincente è stata senza ombra di dubbio il busking, l’arte di strada, mentre quella più disastrosa è stata contattare i locali.
Suonare per strada significa targetizzare il pubblico (alla vecchia maniera) perché solo chi apprezza la tua musica si fermerà ad ascoltare, a fare quattro chiacchiere, a lasciarti l’eurino nella custodia della chitarra. Gli altri passeranno oltre, senza troppi problemi.
Invece visitare, telefonare, scrivere a gestori e direttori artistici e, nel 90% dei casi, non ottenere risposte o essere rimbalzati è più che frustrante. Allo stesso modo, contattare blogger e speaker radiofonici può essere una vera sfida, ma, al contrario di quanto si possa pensare, ho ottenuto, in proporzione, molte più risposte e parole di incoraggiamento da questo mondo. Cioè, in base alla mia esperienza, è più facile che ti risponda con estrema gentilezza la signora Giovanna che lavora per Radio3 piuttosto che il signor Taldeitali del locale Pincopallino del paesino remoto in mezzo alla campagna toscana (per non parlare dei direttori artistici, ma lasciamo perdere).
Che cosa ho imparato da tutto questo?
La vecchia scuola
Prima cosa: a volte i metodi “vecchia scuola”, come il busking e le strette di mano, sono ben più efficaci di tutte le strategie di marketing online messe insieme; inoltre, suonare per strada è anche una bella scuola di vita, che, come si dice nella bassa pavese, ti insegna a vulà bass.
Impariamo a cooperare
Seconda cosa: non si va da nessuna parte se non c’è la volontà di cooperare.
Che cos’ha di positivo il sistema in voga all’estero? Il fatto che le serate vengono letteralmente divise tra vari musicisti, creando una cooperazione che facilita il raggiungimento del successo dell’evento. Che cos’ha di positivo il sistema italiano? Chi ha la fortuna di trovare un ingaggio riesce a portarsi a casa un minimo di cachet (neanche sempre, ma più spesso che all’estero).
E se unissimo i due sistemi? Sarei assolutamente disposta a dividere il mio cachet con un altro musicista, ma portare più gente al locale, contare su un altro professionista della musica per fare i volumi e un’ulteriore spalla per pubblicizzare l’evento.
Impariamo a cooperare 2
Terza cosa: perché non cooperare anche per interagire con i media?
Sapete perché esistono uffici stampa e plugger? Perché, in teoria, vi dovrebbero lavorare professionisti con validi contatti nel mondo della stampa e della radio. In altre parole, se il signor X dell’agenzia Y manda il mio album ad una radio, dovrebbe essere più probabile che la radio metta in rotazione i miei pezzi perché si fida del signor X, sa che gli fornisce materiale di qualità. Se, invece, la radio lo riceve direttamente da me, ho un buon 80% di probabilità che la mia musica non venga neanche ascoltata perché, non essendo conosciuta, non è detto che valga la pena impiegare tempo per ascoltare ciò che ho da proporre.
Oggi, però, questi equilibri si sono rotti.
Innanzitutto, anche un ragazzino può realizzare musica di qualità (almeno da un punto di vista tecnico) nella comodità della propria cameretta e, tra l’altro, se ha genitori facoltosi, può impiegare un qualsiasi ufficio stampa e avere la propria musica “distribuita” a radio e blog. Tutto questo pur non essendo un “professionista” e a prescindere dal valore artistico della sua proposta.
Inoltre, grazie ai social siamo teoricamente tutti in contatto con il mondo della stampa.
Non sto delirando: è ovvio che contattare giornalisti, blogger e speaker da sola non mi fa abbassare la soglia di probabilità che la mia musica venga cestinata a prescindere, ma cooperare con altri musicisti indipendenti, fare rete, potrebbe abbassare drasticamente quell’80%.
Immaginiamo il gruppo di musicisti X, formato da Y e Z. Y ha proposto con successo un proprio singolo ad un paio di radio, mentre Z, pur non essendo riuscito a passare per radio, ha ottenuto un’intervista su un blog di musica. Ora Y e Z possono beneficiare dei contatti dell’altro per aumentare le probabilità di riuscita di ciascuno. Il gruppo X diventa, in qualche modo, una fonte attendibile, di cui i media iniziano a fidarsi.
Estendete questa cosa a gruppi di più di due persone e avete un’idea dei risultati che si possono ottenere.
Ma non è tutta colpa nostra
Quarta cosa: anche i media hanno le loro colpe. Già, perché se la signora Giovanna di Radio3 è stata super-gentile e mi ha dato validi consigli su dove indirizzare la mia musica, molti altri suoi colleghi o blogger decidono di ignorare, per partito preso, qualsiasi materiale che non arrivi da una fonte “attendibile”, che, come ho chiaramente enunciato poco fa, non ha più granché senso di esistere.
Ci si dimentica di un sottobosco fertile di nuove idee, magari portate avanti da ragazzi che non hanno la possibilità economica e le conoscenze per rivolgersi ad un ufficio stampa serio, ma che potrebbero giovare alla cultura di un Paese sempre più in difficoltà. Ci si lamenta del livello della musica mainstream e però si parla sempre dei soliti e non si accolgono quasi mai le soluzioni alternative che sono sotto il naso di tutti.
Ovvio, lo ripeto: gran parte delle soddisfazioni mi sono arrivate dal mondo della stampa e delle radio, se non a livello quantitativo, almeno qualitativo, ma voglio sottolineare che, a mio modo di vedere, è un preciso dovere dei media andare a spulciare oltre la superficie, offrire qualcosa di nuovo alla gente.
In conclusione
Sono stata prolissa e me ne scuso, ma queste tematiche, credo, andranno a definire il futuro della nostra cultura e penso si dia loro troppo poco risalto.
Ringrazio Maraglino che con il suo sondaggio e il video sui risultati mi ha dato lo spunto per ragionare su queste problematiche e idee.
Non credo di avere la verità in mano, ma credo sia un preciso dovere di tutti noi, artisti indipendenti o meno, esponenti dei media, gestori di locali e simili, iniziare a fornire soluzioni e non solo evidenziare gli aspetti negativi della nostra industria.
Se siete arrivati fin qui, grazie!
by Nicole Stella, cantautrice pisana
published on Nicole Stella’s blog