PAKT – No step left to trace – full streaming e recensione

di Riccardo Storti, pubblicato il 16 Settembre 2024

Un patto di ferro quello dei PAKT, entità-acronimo che riunisce le iniziali dei nomi di battesimo dei componenti. Vediamo chi sono: Percy Jones, gallese, bassista storico dei Brand X e collaboratore di Brian Eno; il chitarrista Alex Skolnick, un improvvisatore capace di spaziare dalla fusion al metal, passando per la World Music; Kenny Grohowski, batterista eclettico che ha suonato tanto in una recente line-up dei Brand X, quanto con John Zorn e con Imperial Triumphant, band avant-metal in maschera; infine – last but not least – Tim Motzer, altro mago dell’improvvisazione, soprattutto timbrica, visto che ama suonare la chitarra in combutta con ogni tipo di effetto e di imbastardimenti elettronici.

I PAKT hanno sempre girato in lungo e in largo per i locali underground degli States, offrendo un repertorio live improntato soprattutto sull’improvvisazione jazzistica, ma con risultati imprevedibili, pronti a varcare qualsiasi confine di genere; così, se l’essenza è jazz, l’esito è un dosato melange di progressive, avanguardia, noise, psichedelia e ambient music. Hanno all’attivo ben 9 dischi dal vivo.

Il quartetto tende a dividersi il lavoro in tal modo: Motzer e Skolnick creano suoni atmosferici ed eterei tanto che si potrebbe avere un dubbio sulla provenienza degli stessi (sì, sono comunque chitarre); nel frattempo, la sezione ritmica (Grohowski e Jones) dialoga, intrecciandosi perfettamente con l’ensemble.

No Steps Left to Trace è il loro primo album in studio. Per metà (a dirla tutta). L’opera, infatti, consta di due CD, uno in studio e l’altro live. Facciamo un po’ d’ordine: la sessione in studio si è svolta durante il tour della band sulla East Coast nel dicembre 2021. Reduci da diversi concerti di successo nello Stato di New York (incluso il fiorente locale del musicista Daryl Hall a Pawling, la famosa “Daryl’s House”), la band si è presa un giorno di pausa nelle Catskill Mountains, dove ha registrato negli NRS Studios del musicista e ingegnere del suono Scott Petito. Qui hanno inciso artisti del calibro di John Scofield, Chick Corea e James Taylor. I PAKT si sono sistemati in cerchio, tutti nella stessa stanza e hanno suonato proprio come avrebbero fatto in un concerto dal vivo. Hanno iniziato prima di mezzogiorno e continuato oltre il tramonto: alla fine della giornata, avevano accumulato un bel po’ di materiale, una sorta di eccezionale documento che meritava un’uscita discografica. E Moonjune c’era.

È interessante quanto dichiara Motzer, che, oltre ad essere un componente della band, ha prodotto il lavoro e ne ha curato la parte grafica: “Ci siamo resi conto che questa band non torna indietro: può essere alimentata da ciò che abbiamo fatto in passato, ma in realtà è una band che evolve, va avanti, componendo sul momento, trovando un nuovo linguaggio e scoprendo la nostra musica man mano che la suoniamo. È su questo mood che mi è venuto in mente il titolo No Steps Left To Trace [in italiano: “Nessun passo lasciato sottotraccia”], perché la nostra musica è un continuum, più simile a un viaggio o a un’esperienza.”

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Il secondo CD, invece, raccoglie 5 brani live tratti da alcuni concerti tenutisi a Buffallo, New York e Philadelphia tra dicembre 2021 e febbraio 2023.

In studio i PAKT propongono 2 macro-composizioni di due parti l’una (la title track di oltre 36 minuti e On the Other Side che supera i 20 minuti) e Spontaneous Combustion. Si tratta di brani spontanei, molto free ma guidati da chi conosce l’arte dell’improvvisazione jazzistica, secondo un canovaccio finalizzato a sfrondare qualsiasi gratuità: in parole povere, quando c’è del rumore, anche quello, è calcolato.

La prima parte della title track vede il basso tessere una melodia che apre ad un dialogo tra la chitarra acustica e l’elettrica; dopo nove minuti avanza il crescendo ritmico, spazio ideale in cui la chitarra di Skolnik elabora un solo, mentre il guitar synth di Motzer spennella accordi con una timbrica assai simile a quella di una tastiera. Al 21’ la quiete si dipana in un evanescente finale dove ritornano il basso e una chitarra slide quasi psichedelica e un po’ sitareggiante; il collegamento con la seconda parte fa sì che dal nulla emergano compulsioni quasi funkeggianti dalle dinamiche barbare: siamo tra i Naked City, Mr. Bungle e Bartók.

In On the Other Side è sempre il basso a partire, anzi dà proprio il La nel vero senso della parola perché quella nota ripetuta ossessivamente è un La: si crea il clima e poi via accelerando con un walking bass contagioso e passaggi stretti di batteria, mentre una delle due chitarre preme lo starter sul wah wah: si sente la radice del Brand X ma anche la Mahavishnu Orchestra e gli Area. Prima di accedere alla reprise, un intermezzo dal titolo intrigante, Wormhole: un’intrusione rumoristica e dissonante nel corpo armonico e ritmico della composizione principe; il “buco del verme”, proprio come se fosse un essere alieno intento a rovinare la polpa di un frutto. Dura poco, meno di un minuto, e, fatta pulizia, On the Other Side riprende la sua veste originaria con tutte le mutazioni del caso (eh, già, perché – che lo vogliamo o no – qualcosa è cambiato).

L’ultimo pezzo (Spontaneous Combustion) è quello che meglio si può avvicinare al mondo del jazz-rock: una trama di basso non dissimile a quelle ordite da Pastorius o Berlin; accordi di chitarra riverberati e frullati dentro un pickup esafonico tanto da sembrare a volte un piano elettrico, a volte un clavinet; soli alla Joe Scofield dell’altra chitarra; una batteria ipercinetica che spezza le battute come un rasoio di precisione. Da un momento all’altro speri nel miracolo, speri di sentire l’acuto della tromba di Miles. Non arriva, ma la chiusa è ottima.

Il primo CD, come abbiamo detto, non è altro che un distillato dell’attività prioritaria dei Pakt ovvero suonare live e tale prassi ha portato la band dal 2020 – in piena pandemia – ad esibirsi anche di fronte ad un pubblico virtuale (il loro esordio avvenne a New York durante il lockdown a Ferragosto del 2020 allo ShapeShifter Lab di Brooklyn trasmesso in streaming e poi “salvato” su CD per iniziativa della Moonjune, nella persona di Leonardo Pavkovic). Lasciato alle spalle il Covid19, i Pakt cominciarono a girare per gli States e a suonare in diversi locali della scena underground.

Perché, allora, nel 2024, rilasciare un doppio CD studio / live? Per saggiare la differenza dei due momenti, perché il pubblico conta e, pur indirettamente, diventa componente aggiunto, quasi fantasma, nell’interplay tra i musicisti. La scoperta dell’acqua calda, direte voi. Concordo, ma questo è un pubblico assai particolare, non proprio geneticamente rock e, volendo, nemmeno del tutto jazz. Poco importa l’origine mista e bastarda di chi ascolta i Pakt, vale – invece – il fatto che tanto il fan di jazz, quanto il metallaro in platea siano accomunati da un elemento fondamentale: l’attenzione.

Sì è capito: i Pakt richiedono partecipazione e, al tempo stesso, una necessaria apertura mentale capace di fare sorgere nell’ascoltatore la domanda: “Ma questi qui dove vogliono andare a parare?” Insomma: una libera attenzione sorretta da quintali di curiosità.

Stando alle informazioni della press release di Moonjune, il chitarrista e producer artistico Motzer per il CD dal vivo ha estratto cinque tracce da tre concerti: una da Buffalo (Traif Music Hall), tre da New York (Nublu) e una da Philadelphia (Solar Myth) tra il 2021 e il 2023.

Una nota di La del basso di Jones apre dal nulla The Ghost Mills: la ricetta non cambia; è sempre lui, il buon Percy, a indicare la triplice strada melodica, armonica e ritmica. Emergono fraseggi metrici memori del clima di Volcano for Hire dei Weather Report: si aziona un poderoso motore in cui proprio il basso di Percy Jones è la cinghia di trasmissione mentre le chitarre di Motzer e Skolnick lanciano accordi, dissonanze e rumori.

Dal concerto di New York si selezionano tre momenti che coprono per oltre mezz’ora la performance integrale. In NYC III il basso di Jones improvvisa una frase di poche note stoppate, volutamente stentata, su cui la batteria pone qualche minimo accenno; le stesse chitarre appaiono timide, seguendo il dettato dalla dinamica stoppata del basso. È come se ogni esecutore del gruppo prendesse le misure ai propri compagni: è un continuo cercarsi, trovarsi e perdersi, un metodo d’improvvisazione che varca confini di genere. Ne escono pulsazioni rock – jazz, un po’ alla Nucleus primi anni ’70: lì le chitarre si liberano e lasciano tracce concrete, fino alla parte finale quasi funkeggiante con un pubblico che fa sentire la propria ovazione.

NYC IV vive di un dialogo tra le due chitarre: si procede a tentoni tra la ricerca dell’accordatura e mosse solistiche in slide: si è tentati di etichettarlo come jazz-rock psichedelico; si avvertono i momenti di stasi dei primi King Crimson, le distese desertiche dei Grateful Dead strumentali e il krautrock degli Ash Ra Tempel, il tutto immerso in un chitarrismo eretico di plurima paternità (Robert Fripp, Jerry Garcia, Manuel Göttsching, Robby Krieger, Steve Howe, Andy Summers e Mike Stern); con NYC V, invece, si ritorna a quel fecondo clima elettrico davisiano tanto caro ai Pakt.

Il meglio dell’interplay è colto con suprema sintesi nell’ultimo pezzo (Solar Myths). Si danno le carte e si definiscono i ruoli: solita sezione ritmica basso e batteria in continuo chiacchiericcio dentro ad una classe impertinente; una chitarra suona parti da tastiere (Motzer), l’altra ha l’appalto di tutto ciò che di solistico si possa suonare (Skolnick). Ventidue minuti che si fanno più che scoppiettanti dopo 8 di preparazione, ma l’intensità dinamica fa presto ad abbassare i toni per lasciare la voce al basso di Jones (11’32”), pronto a generare una nuova cellula di ripartenza (e lì arriva inatteso il colore pulito e caldo della chitarra di Skolnick che, quando non usa effetti, ricorda addirittura la Stratocaster di Knopfler).

L’integrazione dell’album live all’uscita mostra la crescita e l’evoluzione della creatività simbiotica dei Pakt; un brillante contrasto con molti momenti di grande interazione e reciproco ascolto tra tutti i musicisti. Mi sento di consigliare l’album a chi non conosce il gruppo, in quanto questo lavoro funge da ottima introduzione alla musica dei Pakt.

(Riccardo Storti)

Precisazione: sulla copertina la tracklist rivela un errore: le tracce 02 NYC IV e NYC III sono invertite.