Masterpieces from all times part 62: The Black Heart Procession – 2 – 1999
Continuiamo la nostra serie di podcast di album fondamentali della storia del rock, e per questa nuova puntata parliamo di una band americana protagonista soprattutto nella seconda metà dei novanta e nel primo decennio dei duemila, con un sound particolarissimo contraddistinto da un folk rock di matrice lo fi con elementi post rock e, visto l’incedere lento delle loro ritmiche, slowcore. Si tratta dei Black Heart Procession, duo di San Diego, in California, che con sei album e altrettanti mini ha saputo oscurare tutti i luoghi comuni che vedono la regione di provenienza sempre solare e luminosa.
Il loro capolavoro conclamato è il secondo album, intitolato semplicemente 2 e pubblicato dalla Touch & Go (come tutti gli altri album tranne il primo): intimismo, cupezza e malinconia pervadono marce funebri che solo a tratti si aprono a suggestioni armoniche che vanno dritte all’anima. Brani struggenti costruiti attorno ad ambientazioni acustiche, sorrette dal piano e dalla voce sofferta e triste, dove coesistono country, folk, blues e un pizzico di elettronica, arrangiamenti eleganti. I riferimenti più riscontrabili sono quelli con autori tipo Nick Cave e Leonard Cohen o il Brian Eno canzonettaro, e con band quali Sigur Ros e Radiohead.
Tra i brani più significativi possiamo citare il desolante The Waiter #2 che apre l’album, l’immaginifico Blue Tears che segue, il folk lo-fi di folk di Your Church Is Red, la monumentale When We Reach The Hill, la più sperimentale Beneath The Ground. Ma tutti gli undici brani formano un concept puzzle dal fascino inimitabile. La formazione che ha accompagnato i due fondatori, vale a dire il vocalist e chitarrista Pall Jenkins e il pianista Tobias Nathaniel, per questo disco è completata dal batterista Mario Rubalcaba, che lascerà la band dopo il terzo album, altra pietra miliare dal titolo, ovviamente, 3.
Buon ascolto.