Recensione disco italiano: Monocromo – Semplice – 2010
by Alessandro Adesso
Fare parte di una rete di festival come quella che Metrodora insieme ad altre realtà ha contribuito a creare è indubbiamente un vantaggio non solo per le band, ma anche per le stesse associazioni che hanno così la possibilità di conoscere gruppi che provengono da fuori regione e realizzare un continuo scambio che permette la crescita di tutti i soggetti coinvolti.
Uno degli ultimi casi che mi sono capitati è quello dei Monocromo, formazione milanese attiva dal 2005, protagonista di un intenso live al Castelrock di Finale Ligure lo scorso I maggio, oltre che di altrettante intense bevute di birra post concerto.
I cinque sono stati invitati alla fortezza che ospita il festival per riproporre “Semplice”, il debutto sulla lunga distanza pubblicato nel 2010 dopo un ep che porta il loro stesso nome. Mai come qui il termine “lunga distanza” è opportuno, visto che si parla di un disco con ben 16 canzoni per una durata totale di 50 minuti e in un’epoca in cui difficilmente i dischi superano la mezz’ora, specie se sono ufficialmente i primi della discografia, questa è una particolarità non da poco. Certo, il rischio è quello di cadere nelle ripetizioni, di arrivare ad un punto dell’ascolto e non riuscire più a distinguere una canzone dall’altra da quanto sono uguali, ma per fortuna non è questo il caso e pur non proponendo nulla di originale i brani scorrono via piacevolmente tra citazioni di film (“Virus”, “Lontano da qui” o la conclusiva “Sogni e potere” che contiene uno dei dialoghi clou de “La storia infinita”), programmi televisivi (“In trash mission” e l’incubo Maria De Filippi) e reinterpretazioni di brani ben noti (“Contro ogni pregiudizio” che riprende il riff principale di “Immigrant Song”).
La formazione è piuttosto semplice: un quintetto composto da chitarra, basso, batteria e due voci, una melodica e l’altra principale che a tratti ricordano il Renga del periodo “2020”. E’ facile intuire quindi come suona “Semplice”: come un crossover che richiama sonorità della prima metà degli anni duemila; ciò nonostante il gruppo non disdegna brani più tipicamente rock (“Chù-Chà Manùber”), come non ha timore di utilizzare sintetizzatori che danno ai brani un’aria più elettro (“Inevitabile”) e dance (“Vita da bobaz”).
Ascoltando questo album si percepisce una certa urgenza, come se i Monocromo volessero trasmettere tutta la loro carica energetica e sessuale:
Sono una bomba che sta quasi per esplodere
Adesso è il mio momento, mi devo sfogare,
Adesso è il mio momento, voglio gridare
(da “Shattavaffà Bukkì”)
o ancora
I’ll fly fast, I’ll burn fast
Solo di velocità, è solo questo di cui ho bisogno adesso
Per vincere paure vere solo velocità,
Nel dubbio tieni sempre il gas aperto
(da “Oltre il limite”)
una carica che trova sfogo in tematiche sociali, come il non riconoscersi in una società alienante, contro una tecnologia troppo avanzata e contro le mode che vanno dai programmi tv all’abuso di droghe. Testi in italiano, eccezione fatta per qualche breve frase, che di sicuro migliorerebbero se non ci fossero troppi termini “da cumpa”.
Attualmente i Monocromo stanno lavorando al loro secondo disco e per farsi un’idea di come sia cambiato il loro sound in questi quattro anni è possibile andare sul loro sito http://demasoft.wix.com/
Tracklist:
Virus
Semplice
Oltre il limite
Contro ogni pregiudizio
Lontano da qui
La soluzione
Shatavaffà Bukkì
Voglio andare in Exstasy
In “trash” mission
Vita da bobaz
Terra arida
Chù-Chà Manùber
Io sparo a zero
Inevitabile
Luce svegliati
Sogni e potere
Formazione:
Diego De Marinis (voce melodica)
Luca Zappia (voce)
Ludovico Riccio (basso)
Andrea Patti (chitarra)
Simone Fortuna (batteria)
Registrato al: Elnor Studio di Magnago (Mi)
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