Elisa Montaldo – new album – Fistful of planets vol. II – streaming integrale + recensione
Pubblicato nelle settimane scorse l’attesissimo seguito di quel Fistful of planets vol.1 che sei anni orsono diede il via alla carriera solista della compositrice, vocalist e tastierista genovese Elisa Montaldo, conosciuta sino a quel momento soprattutto per la militanza nella band progressive Il Tempio delle Clessidre e per la partecipazione al progetto internazionale Vly.
Dopo l’uscita a inizio anno della raccolta di brani originali, improvvisazioni pianistiche, vecchie incisioni rimaste nei cassetti e collaborazioni varie dal titolo Dèvoiler (leggi articolo), la musicista e compositrice genovese conclude e pubblica grazie alla benemerita label Black Widow Records il secondo volume di Fistful of planet, un lavoro coeso ed omogeneo, trasversale ai generi, partorito in solitaria e realizzato con alcuni musicisti di calibro internazionale (dal percussionista svedese Mattias Olsson, anche coproduttore, alla quasi totalità dei Samurai Of Prog), che hanno magistralmente contribuito alla perfetta riuscita ed alla definizione di un nuovo stile che con il progressive ha in comune solo alcuni elementi caratterizzanti.
Il lavoro inizia con la spiazzante Valse de Sirènes, con la quale ci ritroviamo magicamente nella Francia degli anni ’30, un vecchio vinile impolverato riprodotto da un grammofono, con il piano e la voce di Elisa e gli efficaci arrangiamenti dell’ottimo Matteo Nahum (chitarrista e collaboratore stretto di Fabio Zuffanti).
Floating / Wasting Life è uno degli episodi fondamentali dell’album, una meraviglia canterburiana che sposa l’antico (Yes e Mike Oldfield) e il moderno (The New Pornographers), seguito dallo splendido ambient ancestrale (con violino e tastiere in evidenza) Earth’s Call che sfocia in un folk prog con il flauto di Steve Unruh (che ricorda quello di Elio D’Anna degli Osanna) protagonista assoluto del finale del brano.
Si prosegue con una We are magic, caratterizzata da una voce superlativa per una ballad dream pop con un’intensità alla Beach House e una dolcezza che ricorda i migliori Cocteau Twins (quelli di Treasure, tanto per intenderci), e con Haiku, minisuite caratterizzata da pregevoli arpeggi di chitarra acustica, dall’evidente sensazione di panismo e dal finale kraut acustico di stampo Popol Vuh.
Feeling Nothing/Into The Black Hole è a parere di chi scrive la gemma più splendente dell’intero album, una pietra miliare di dodici minuti che nella parte iniziale tocca corde molto profonde che ricordano lo struggente capolavoro di Robert Wyatt Rock bottom ma anche le scorribande free di The end of an ear, con fughe gonghiane e magmiane laddove pare di sentire Stella Vander e Gilli Smith in un frenetico inseguimento vocale.
Il frammento Wesak conduce dolcemente alla ballad Washing the clouds con protagonista la chitarra gilmouriana di Ignazio Serventi e con il finale che riconduce all’incipit del brano d’apertura e che chiude il cerchio con un’aria a metà tra un valzer per la colonna sonora di un qualche film degli anni cinquanta e un originale declamazione finale in sovrapposta doppia lingua.
Un lavoro impressionante per la cura dei particolari, pensato e concepito in totale solitudine (funzionali all’ispirazione sia i continui viaggi in giro per il mondo a scopi lavorativi che l’isolamento in una residenza dolomitica), il secondo capitolo di Fistful of planet è un magnifico concept che attraversa generi ed epoche, un lavoro di spessore assoluto che smarca l’artista genovese dall’autodefinizione social ElisaProg e la proietta in una dimensione artistica totale.
Una bella sorpresa, questo pugno di pianeti, da assaporare per tutti i quarantacinque minuti circa (la durata ideale di questo come di qualsiasi album); un album che non lascerà indifferenti nè i cultori di un certo pop raffinato che coloro che amano suoni più ricercati e non disdegnano le ricercatezze tecniche.
Buon ascolto.